13 febbraio 2061

Post del 13 febbraio 2011, qualche ora dopo la manifestazione di SNOQ

Sì, me lo ricordo quel 13 febbraio 2011. Era il giorno prima di San Valentino, una festa inventata per gli innamorati, più spesso causa di crisi da regalo sbagliato o di aumento dei prezzi al ristorante piuttosto che dimostrazione di amore nelle coppie. Una ricorrenza commerciale, che fu celebrata quell’anno per l’ultima volta, dato che ci si rese conto che l’amore si poteva festeggiare qualsiasi giorno dell’anno. O anche non festeggiare, per quelli che da festeggiare non hanno proprio nulla. Ma torniamo a quel 13 febbraio. Era una giornata di inverno, ma con una luce e poi un tramonto che solo Roma ti può regalare in qualsiasi momento dell’anno, e che in altre città del mondo si vede raramente. Quel giorno, un gruppo di donne aveva chiesto a tutte le donne d’Italia, ma poi anche agli uomini, di rispondere a una semplice domanda: “Se non ora, quando?”. Ti starai chiedendo: perché, cosa succedeva “ora”? E soprattutto, “quando” cosa? Che bisognava fare?

Beh succedeva una cosa strana, che non succedeva e non sarebbe successa in altre democrazie: c’era un capo del governo piuttosto anziano, di settantatré anni, molto ricco, che invece di costruire scuole per i bambini in giro per il mondo faceva delle feste a casa sua con delle ragazze molto giovani, che venivano ricompensate con molti soldi e anche con dei posti da ballerina in delle trasmissioni televisive che si facevano all’epoca. Sei abbastanza grande per capire cosa succedesse in queste feste, dove il capo del governo invitava anche due o tre suoi amici, altrettanto vecchi. Insomma, se tua nonna fosse stata una di queste ragazze, io non sarei stato molto contento. E queste donne, che avevano organizzato questa manifestazione, proprio non ci volevano stare a vedere delle ragazze pagate migliaia di euro, mentre loro faticavano a trovare un lavoro, affermarsi nella loro professione per quello in cui erano più capaci, ed essere offese da qualche giornalista – anche lui piuttosto in là con gli anni – che aveva detto di non lamentarsi perché erano “sedute sulla loro fortuna”. Anche qui non c’è bisogno che io ti spieghi cosa significhi. Alla fine, queste donne si erano chieste: quando dobbiamo protestare per il fatto di essere considerate come delle cittadine di serie B, se non ora che delle donne come noi sono su tutti i giornali a dimostrare come un uomo, per giunta il più ricco e potente d’Italia, può insultare la nostra dignità per il suo semplice svago? Quando dobbiamo protestare se non ora, che le donne vengono considerate solo dalle dieci di sera in poi, mentre il governo dovrebbe occuparsene tutti i giorni? Queste donne decisero quindi di manifestare questi semplici concetti, e proprio per la loro semplicità la proposta venne raccolta da tantissime persone. Non solo a Roma, ma in tante le città d’Italia e persino all’estero, da Tokyo a Honolulu.

Fin qua sarebbe potuta rimanere una manifestazione come le altre: c’erano stati tanti interventi, di donne che facevano i lavori più diversi. Una sindacalista, delle politiche, delle studentesse, attrici, registe, lavoratrici precarie, donne impegnate nel sociale, persino una suora. Quando il sole stava tramontando dietro il cupolone di San Pietro, la manifestazione si avviava verso la fine, con gli ultimi interventi dal palco seguiti da canzoni, che invitavano le donne e gli uomini alla riscossa, a reagire. Ma anche, semplicemente, a ballare. Ed è stato quello che queste signore hanno fatto sul palco: e con loro, tante donne e uomini nella piazza, una piazza stracolma, strabordante di gente come non si vedeva da tanto. E quando la musica si interrompeva, loro continuavano, e la musica riprendeva, poi si interrompeva dopo un po’, ma loro ancora niente e così via, per ore. E’ arrivata la sera. Tutti si sono detti: va bene, adesso tutti a casa. Fu a quel punto che qualcuno prese la parola, non mi ricordo chi, forse proprio la suora e disse: “Ma perché dobbiamo tornare a casa? Cosa cambierà se ce ne andiamo proprio ora, dopo questo grande successo? Restiamo qui, come hanno fatto in Egitto per diciotto giorni di fila!” Nel paese delle piramidi, infatti, c’era stata una grande protesta per un dittatore, al potere da trent’anni, alla fine costretto a scappare. Quello che è successo dopo lì è un’altra storia… La piazza ha accolto questa proposta con un urlo liberatorio: c’era voglia di stare insieme, di non mollare, di andare fino alla fine. E’ come se, dopo tanti anni, le persone si fossero rese conto che era meglio una piazza piena di gente che la televisione accesa in cucina. La notizia si è subito sparsa, tutti hanno chiamato i loro amici, la piazza si è riempita di nuovo. Dal palco la musica si alternava con altre persone che parlavano, e vennero gli operai stanchi di essere trattati come macchine, gli studenti che per tanti mesi avevano sperimentato una protesta simile, senza interruzione, gli insegnanti della scuola che volevano continuare a fare il loro lavoro, tanti e tante altre che non ne potevano più di una cappa insopportabile che da anni aveva intrappolato l’Italia. Tutti quelli che avevano visto la manifestazione in televisione o via internet, che si erano commossi a vedere le donne di tutte le età saltellare sul palco come gesto liberatorio, che avevano pensato alle loro mamme, mogli, figlie e fidanzate uscirono di case, iniziarono a girare per la città e a coinvolgere i passanti nella protesta. A un certo punto della notte, uno degli schermi della piazza proiettò il finale di un film di qualche anno prima, che doveva andare in televisione ma era stato censurato: siccome in quella piazza si era deciso di sostituire la vita vera alla televisione, si iniziavano a fare tutte le cose che in televisione non erano più permesse. In quel film, il capo del governo – sempre quello che faceva le feste con le ragazze – viene condannato in un processo, ma alla fine il popolo si ribella contro i giudici che l’hanno condannato. Quella piazza, quella notte, fischiò tantissimo a vedere le rivolte contro i giudici, iniziando a scandire un unico slogan: “Dimissioni”, fino all’alba. Il giorno dopo, quando il capo del governo si accorse di quello che stava succedendo (nessuno l’aveva informato, lui era tranquillo che non fosse niente di importante perché una sua ministra gli aveva assicurato che erano solo quattro radical chic), disse subito al ministro dell’Interno di sgomberare la piazza. Come al solito, il ministro gli assicurò che tutto sarebbe terminato nel giro di un’ora. Dopo tre ore, il ministro fu costretto a chiamare il capo del governo per dirgli che non c’era verso: non si trattava di quattro sgallettate, ma di centinaia di migliaia di persone che si rifiutavano di tornare a scuola, a lavoro, a casa. Protestavano. La situazione era fuori controllo, la stessa cosa succedeva ormai in tutte le città d’Italia.

Il seguito lo conosci, è per questo che tu, di questo capo del governo, non hai mai sentito parlare. Ed è per questo che in tante piazze si vedono ancora le scritte che sono state fatte in quei giorni.

People have the power.

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