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Post del 21 gennaio 2011, destinato ad un’iniziativa di Repubblica

Sono scappato dall’Italia non per il caso Ruby, né per il caso Noemi, ma per un’università disastrata, professori disinteressati, lezioni annullate all’ultimo minuto: una situazione che la recente riforma non migliorerà di certo. Sono scappato perché, per studiare quello che mi interessa (il diritto pubblico, la Costituzione, le istituzioni, la gestione dei beni e dei servizi per la collettività) l’università italiana è il migliore specchio della sua classe politica: semplicemente non se ne occupa. E’ per questo che, quando alla lavagna manca il pennarello, il professore esclama: “Sembra di stare in un’università italiana!”. Sono venuto in Francia, a Parigi, in un’università conosciuta ovunque per il livello elevato di riflessione su questi temi. E sono contento, perché qui posso toccare con mano cosa vuol dire gestire, al meglio, la cosa pubblica.

Nonostante in questo contesto sembra che l’Italia non c’entri nulla, gli studiosi italiani, i loro libri sono stati spesso citati dal mio professore di diritto costituzionale. Generalmente erano morti, questi studiosi, motivo per cui non insegnano nelle nostre università. I miei compagni di università mi hanno fatto notare, commentando i fatti di questi giorni e non solo, la contraddizione tra l’interesse mostrato dal nostro professore, come da altri, per i pensatori italiani e la nostra situazione attuale. Mi fanno notare, giustamente, come sia difficile capire cosa ci ha portato a questo punto, a discutere di un vecchio impotente che se la fa con le ragazzine. Ma non solo. Io ho provato, in questi mesi, a spiegare una legge elettorale che fa vincere un partito minoritario dandogli la maggioranza dei seggi, ma non ci sono riuscito. Ho provato a spiegare che il governo sarebbe stato salvato da tre parlamentari che non avevano nessuna idea in comune, ma che per l’occasione si erano messi la stessa cravatta: non mi hanno capito. Mi hanno chiesto anche di parlare della situazione della sinistra italiana, ma alla terza scissione e al settimo cambiamento di nome o di segretario l’impresa è sembrata troppo ardua.

Proprio  oggi mi hanno chiesto, per l’ennesima volta, qual è il fascino che Berlusconi esercita sul nostro popolo: è l’immagine del macho in cui tutti vorrebbero riconoscersi? Io ho risposto che il problema è più largo, perché oltre all’elemento sessuale ci sono tante altre cose che fanno la forza del nostro premier, cioè aver interpretato gli umori degli italiani sugli immigrati, sulle tasse, sulla (anti)politica. I miei compagni sono sempre increduli, l’Italia è un paese che suscita grande interesse e soprattutto che lascia stupefatti tutti coloro che lo visitano per la sua bellezza – una mia compagna di corso è riuscita a farsi impressionare persino da Milano, dove è stata questo weekend! Nonostante questo, diamo l’idea di un paese inaffidabile, dove nulla è certo, dove tutto è arbitrio, dove non ci sono diritti rispettati e regole certe: un Paese che non merita Berlusconi, ma che visto da fuori sembra non poterne fare a meno.

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