Post del 12 gennaio 2011
Abbandoniamo per una volta il diritto, per dedicarci alla politique politicienne, quella che piace ai commentatori, quella che intasa paginate e paginate sui giornali, quella che si occupa di chi ha detto cosa in risposta a qualcun altro, e di cui nessuno capisce il senso. Parliamo di tattica, di biechi meccanismi per arrivare al potere: ci accorgeremo che, in fondo, si tratta della serietà e del valore di una classe politica, che ce la mette tutta, ma proprio tutta, per darsi la zappa sui piedi – specialmente nella metà sinistra dell’emiciclo. Insomma, per dirla in una parola sola, parliamo di Roma. No, non è un commento autoreferenziale alle mie occupazioni di questi giorni post-festivi, ma un commento alla decisione del sindaco Alemanno di azzerare la sua giunta e presentare una nuova squadra in tempi brevissimi.
Che le cose non vadano bene per l’ex picchiatore lo dimostrano, oltre alle centinaia di assunzioni di cubiste e parenti nelle aziende municipalizzate ATAC e AMA, imputate ovviamente all’eredità della sinistra, che ha lasciato il Campidoglio quasi tre anni fa, sono arrivati anche degli indici di gradimento non proprio lusinghieri. Nella rilevazione IPR Marketing per “Il Sole 24 Ore” sulla popolarità degli amministratori locali, il nostro si piazza 73esimo: non male per il sindaco della città più importante e popolosa d’Italia!.
Tutto ciò dimostra che parlar male di Alemanno sarebbe sin troppo facile dopo tre anni di quasi totale inattivismo e regressione rispetto alla città che gli è stata lasciata dal suo predecessore. Molto più interessante analizzare lo stato di salute dell’attuale opposizione capitolina, per cercare di capire se, nonostante tutto, resterà tale anche tra due anni. Tutto iniziò con le dimissioni del sindaco Walter Veltroni, investito dalla creazione del Partito democratico e “costretto” ad abbandonare le sue funzioni, appena due anni dopo la sua rielezione con la sconfitta del suddetto Alemanno, per prendere la guida del principale soggetto politico dello schieramento avverso a Berlusconi. A quel punto la sinistra romana dimostrò di essere totalmente impreparata e priva di una classe dirigente alle spalle dei due big che avevano guidato la città dal 1993 in poi. Si fecero i nomi di tutti: imprenditori, parlamentari, ex ministri, presentatori televisivi, nani e ballerini di tutti i tipi. I migliori cervelli del centrosinistra si misero all’opera. Bettini cogitava giorno e notte sul nome giusto. Niente di niente. Vuoto totale. Neanche un’opzione Amedeo Nazzari era praticabile. Dal cilindro degli strateghi del nascituro Partito democratico fu tirato fuori l’ex sindaco Francesco Rutelli, di fronte al quale “la base” manifestò totale avversione: dimenticati i tempi della grande popolarità del Giubileo e del sindaco che arrivava in Consiglio comunale in motorino, l’elettorato era più propenso ad associare Cicciobello alla disastrosa sconfitta alle politiche del 2001 e alle orrende posizioni in tema di bioetica assunte negli ultimi anni. Nonostante ciò, l’idea di un voto disgiunto per il candidato socialista e gay Franco Grillini non prese piede e Rutelli si piazzò primo al primo turno, con il 45, 8%. Dopo, sappiamo tutti com’è andata a finire (se non lo sapete, sapevatelo qui).
Da allora, il centrosinistra romano, che aveva regnato indisturbato sulla città per quindici anni, si è volatilizzato. Nel nulla. Nel momento in cui il candidato sindaco, sconfitto, è uscito dal più grande partito dell’opposizione in consiglio comunale, nessuno si è posto il problema dell’organizzazione delle forze presenti nell’Aula Giulio Cesare (dove il Consiglio comunale ha luogo) – e più in generale nella città. Alemanno si è mostrato sicuro di poter continuare a governare, a ragione, perché grazie al premio di maggioranza gode di un ampio sostegno (38 consiglieri su 60). Non che si possa dire lo stesso dell’opposizione: il PD ha 16 consiglieri, gli altri quattro del centrosinistra sono divisi in quattro gruppi diversi, di cui ognuno è capogruppo (Alzetta per la Sinistra arcobaleno – che nel frattempo non esiste più, Quadrana par la lista civica, Azuni nel gruppo misto e lo stesso Rutelli per “Moderati per Roma al centro con Rutelli”). Sfido chiunque di voi a dirmi il nome del capogruppo del PD o anche di un qualsiasi consigliere. E in questo caso non si può fare la solita litania sulla casta, perché si tratta di gente eletta con le preferenze e che per essere eletta ha dovuto raccoglierne un certo numero, dalle 7636 di Umberto Marroni (che è anche il capogruppo, ecco svelato l’arcano) alle 2915 di Athos De Luca (tutti i numeri qui). Anche se non sono riuscito a trovare elementi certi su questo, credo che Rutelli avesse come lista collegata il Partito democratico, e si è trasferito in questa nuova formazione una volta lasciato il partito (i candidati sindaci non eletti hanno diritto ad entrare nel consiglio comunale se le liste collegate ottengono almeno un consigliere, come prevede la legge). Rutelli si vanta di essere rimasto nel Consiglio comunale, come scrive nelle biografia sul suo sito, ma sfuggono sinceramente i suoi fondamentali apporti sulle decisioni – o non decisioni – di Alemanno in questi anni.
Bisogna dire che non è l’unico. Molti hanno contestato che la decisione di azzerare la Giunta sia stata presa in un vertice con Cicchitto e Gasparri, ma probabilmente è più la compagnia che il metodo da centralismo democratico ad essere contestata dal centrosinistra: se leggiamo i nomi (e i ruoli) di coloro che sono intervenuti sulla vicenda, non troviamo uno straccio di consigliere comunale che in questi anni abbia fatto pesare il proprio ruolo nel centrosinistra romano, o di una personalità di rilievo che si sia caratterizzata nell’incarnare l’opposizione alla destra che per la prima volta saliva sul colle del potere cittadino. Nessuno che si occupi di far arrivare gli autobus in orario, di far funzionare le scuole materne, di costruire case popolari, di far vivere la nostra città è intervenuto. Nessuno ha contestato la decisione di fare il Gran Premio all’Eur o di abbattere i casermoni di Torbellamonaca sul fondamento di un suo impegno quotidiano per un’altra idea di città o semplicemente di uno straccio di idea di opposizione. Nessuno, insomma, che trovi sufficientemente degno di rinunciare alla vicepresidenza di qualche commissione parlamentare per occuparsi di Roma, di rinunciare a Ballarò per Telerama 56 (salvo la fascia notturna dei film porno, ma questa è un’altra storia). Pensate a quello che succede in Sicilia che, a onor del vero, è ancor meno appetitosa perché le possibilità di vincere per la sinistra sono ulteriormente ridotte: ma lo saranno sempre di più se alle prossime elezioni verrà catapultata un’eroica Finocchiaro, brava e siciliana quanto vi pare, ma di passaggio, per poi perdere le elezioni, farla tornare al suo posto e poi appoggiare lo sfidante alle elezioni Raffaele Lombardo. D’altronde, cosa ci possiamo aspettare da una classe politica che, per paura di perdere, ha inserito nelle sue liste (bloccate) il candidato a sindaco, ora felicemente senatore e ricompensato della sua performance romana, all’inizio della legislatura, con la Presidenza del Comitato di controllo sui servizi segreti? Cosa aspettarsi da un PD che dopo aver perso le Regionali non riesce a mettersi d’accordo neanche sul segretario e resterà commissariato vita natural durante?