Post del 6 marzo 2011
E’ stata una domenica difficile per Gianfranco Fini, uscito malconcio dai grandi traffici delle ultime settimane che hanno portato allo scioglimento del gruppo di FLI al Senato e ridotto a battibeccare penosamente con Bruno Vespa, salvo ammettere che la guerra delle urne non avrà luogo (almeno nel 2011), parafrasando la celebre opera teatrale di Giraudoux del 1935.
Sempre più impegnato ad imporsi come leader del “vero centrodestra” (simbolo registrato da Bocchino ben prima della rottura con il PdL, il 17 maggio), il nostro si è dovuto smarcare dalle accuse di essere il nuovo paladino della sinistra, accusandola di essere conservatrice quanto Berlusconi – aggettivo sempre in voga quando si tratta di diritti, magari costituzionalmente garantiti; peccato che i suoi ex-camerati, riuniti al Teatro di San Babila per commemorare il suo padrino politico, non gli abbiano risparmiato bordate di fischi con la benedizione di un compiaciuto La Russa, che per poco non definiva Fini un compagno che sbaglia.
E’ una dura croce, ma qualcuno dovrà pure portarla nel cammino lungo e periglioso verso la costruzione di un centrodestra europeo: costruzione mitologica dei superficiali commentatori nostrani, ai quali basta vedere dei conservatori che non ruttano come Borghezio o non fanno le corna ai summit internazionali per abbandonarsi all’esterofilia più forsennata. Immaginate che paradiso, per gli altri partiti di centrosinistra del nostro continente: uno schieramento avversario, generalmente di governo, con una certa classe, un’etica pressoché cavalleresca nella realizzazione di programmi per il bene nazionale. A quest’ora, se i segretari del PS francese o della SPD tedesca fossero Enrico Letta o Nicola Latorre, non c’è da dubitare che trascorrerebbero le loro giornate nei caffè del Marais o facendo jogging su Unter den Linden.
Il prode Bocchino, in tempi non sospetti, era venuto ad apprendere da Jean-François Copé, attuale segretario generale dell’UMP – Union pour un Mouvement Populaire, il partito di Sarkozy, come si struttura una destra moderna, europea. Copé, infatti, ha fondato il club Génération France – da cui la bocchiniana, scusate il termine, Generazione Italia, per fornire delle nuove idee alla maggioranza presidenziale. Ed è quindi per questo che tutti, quando pensano a questa famosa destra europea, invocano a gran voce Nicolas Sarkozy? Non penso proprio, perché Copé è uno dei più ferventi oppositori interni al Presidente della Repubblica, considerato in Francia un parvenu della politica e troppo guascone per l’aplomb parigino.
In generale, quello che la sinistra nostrana invidia alle destre con le quali sono chiamati a confrontarsi i partiti omologhi negli altri paesi è un onestà e un senso delle istituzioni che la destra berlusconiana ha perso per strada parecchi anni orsono. Proprio Sarkozy, arrivato al potere nel 2007, aveva promesso in campagna elettorale l’instaurazione di una République irreprochable. Negli ultimi tre anni, in realtà, è stato un susseguirsi di scandali: al sol parlare di République irreprochable, i sorrisetti e le gomitatine si sprecano.
Nell’ultimo rimpasto al quale è stato costretto la scorsa settimana, il decimo ritocco alla squadra di governo in quattro anni, l’Iperpresidente ha dovuto escludere dalla compagine governativa la potente ministra degli esteri Michèle Alliot-Marie, che aveva ben pensato di trascorrere le vacanze di Natale in Tunisia, in compagnia di un uomo d’affari vicino al clan Ben Ali. Non contenta di aver proposto alle autorità tunisine l’invio di reparti anti-sommossa della polizia francese per mantenere l’ordine nelle piazze, MAM aveva agevolato l’acquisto di quote di una società immobiliare tunisina dell’amico del dittatore da parte dei suoi genitori ultranovantenni e, una volta sollecitata a dar conto dell’accaduto, aveva infilato una balla dopo l’altra. Tutto ciò in un contesto nel quale la politica estera francese si caratterizza per tratti molto simili a quelli contestati ai rapporti tra l’Italia e Gheddafi, avendo mantenuto una solida rete di contatti non solo con i governi del Nord Africa, ma anche con le democrazie quanto meno discutibili instaurate in tutto il continente dopo la fine della colonizzazione. Anche l’Unione per il Mediterraneo rientra in questa logica non propriamente altruistica dei rapporti internazionali dell’Eliseo con la “Françafrique”.
Allo scandalo MAM, l’ultimo rimpasto di governo ha permesso a un altro politico di lungo corso della destra francese di far ritorno al governo dopo più di quindici anni: si tratta di Gérard Longuet, neo-ministro della Difesa, primi passi mossi nell’estrema destra transalpina. L’assenza di Longuet dalla scena politica nazionale è iniziata nel 1993, quando ha dovuto dimettersi dal governo Balladur a seguito di un’inchiesta per finanziamento illecito del suo partito. Longuet ha giusto fatto in tempo a ottenere un non luogo a procedere l’anno scorso, beneficiando di un’amnistia del 1990. Non si tratta dell’unica vicenda giudiziaria del neo-ministro: non solo ha avuto qualche problema con la costruzione della sua villa a Saint-Tropez, ma è anche stato arrestato nel 2001 per una vicenda di corruzione per appalti nella regione parigina. Senza contare le numerose situazioni di conflitto di interessi nelle quali il ministro si sarebbe trovato per le sue attività di consulenza, soprattutto nel campo delle telecomunicazioni nel periodo nel quale ha occupato il dicastero competente.
Gli scandali all’origine dell’ultimo rimpasto possono sembrare poca cosa rispetto al terremoto che stava facendo affondare Sarkozy quest’autunno, quando nel bel pieno della riforma delle pensioni il suo ministro del lavoro Eric Woerth ha dovuto rispondere del conflitto di interesse nella gestione dei rapporti con Liliane Bettencourt, ereditiera L’Oreal e prima contribuente francese. Infatti, Woerth avrebbe, da ministro delle Finanze, alleggerito i controlli fiscali sulla famiglia Bettencourt, ottenendo in cambio dei lauti finanziamenti per il suo partito, di cui era allo stesso tempo tesoriere, e un posto per la moglie. Anche Woerth è stato costretto alle dimissioni: quello che i nostri commentatori confondono beatamente per alto senso delle istituzioni, i poveri socialisti francesi lo additano come una manovra per evitare di indebolire il governo e il presidente della Repubblica. E’ infatti vero che Woerth, che sarà giudicato dal tribunale dei ministri prossimamente, è sparito dalle cronache dei giornali.
Ed ecco che da Gian Antonio Stella a Massimo Giannini a Flavia Perina tutti si sbucciano le mani per la notizia delle dimissioni del ministro della Difesa tedesco Karl Theodor zu Guttenberg per aver copiato la tesi di dottorato, facendoci credere che chissà cosa succederebbe se anche noi avessimo una classe di governo “europea”. In realtà, l’unica soluzione per un rispetto così ferreo delle regole e del buongusto sarebbe importare ministri dalla Germania, o perché no, dalla Svezia o dalla Finlandia!
Questo peana della destra europea è solo l’ennesima dimostrazione che la sinistra non ha capito nulla di Berlusconi, che vince le elezioni proprio per il suo essere terribilmente italiano. Gli elettori non vogliono una destra europea, men che mai se affidata alla troika Fini-Casini-Rutelli, ma si accontenterebbero di ciò che sembra essere da tempo scomparso: una sinistra italiana.