Suor Roccella all’assalto di Strasburgo

La CEDU è un organo del Consiglio d'Europa

La CEDU controlla il rispetto dei diritti umani nei 47 Stati che aderiscono al Consiglio d’Europa

Post del 28 giugno 2011

Doppio scivolone per Eugenia Roccella, sottosegretario al Ministero dalla Salute con un passato radicale e un presente da ultras teo-con e pro-life (in italiano, cattolica reazionaria).

Intervenendo a Rainews24 verso le otto di sera, la sottosegretaria ha infilato due errori sulla vicenda del ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) di una coppia affetta da fibrosi cistica che, dopo aver avuto un figlio colpito dalla stessa malattia, per una seconda gravidanza avrebbe voluto accesso all’analisi preimpianto, vietata in Italia. La sottosegretaria, tentando di minimizzare la decisione della Corte, ha inizialmente sostenuto che non si capisse perché la coppia avesse presentato il ricorso a Strasburgo, dato che la CEDU è una corte “di ultima istanza”. L’ha fatta un po’ corta, la sottosegretaria, dato che la CEDU non è una Corte di ultima istanza, ma un organo creato da una convenzione internazionale tra una cinquantina di Stati, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, alla quale la parte perdente di un processo può rivolgersi se ritiene di essere stata vittima di una violazione dei diritti umani. Non è l’ultimo grado di giudizio, ma può pronunciarsi soltanto dopo che il ricorrente ha superato tutti i gradi di giudizio nel proprio Paese (in Italia, primo grado, appello e Cassazione). Non si capisce da cosa l’onorevole abbia dedotto che questa condizione non fosse stata riempita, dato che è molto difficile immaginare un errore così grossolano da parte della Corte. Sembrerebbe, al contrario, che la coppia non avesse modo di agire sul piano interno (per esempio, presentando davanti a un giudice una domanda alla Corte costituzionale) e che abbia cercato direttamente la protezione della Corte.

Inoltre, facendo riferimento al comunicato stampa della Corte, la sottosegretaria ha sostenuto che il ricorso non fosse stato dichiarato “ammissibile”, ma soltanto “ricevibile”: in altre parole, voleva far credere che la Corte non avesse deciso di entrare nel merito della questione, ma avesse soltanto trovato la richiesta della coppia nella cassetta delle lettere. Ovviamente non è così, dato che la CEDU ha deciso di fissare un’udienza per pronunciarsi sull’eventuale violazione del diritto alla vita privata e familiare e del divieto di discriminazione, come le è stato chiesto dalla coppia. La distinzione non è di poco conto, dato che la CEDU riceve un’enorme quantità di richieste, e ne accetta solo una minima parte. Per esempio, nel 2011, su 29 850 richieste sottoposte a una delle sue formazioni, solo 703 hanno avuto una pronuncia nel merito (circa il 2,5%) contro 17 159 decisioni di irrecevibilità o radiazione.

Vale la pena riportare il comunicato stampa, nel quale la Corte sottolinea come sia la prima volta che si pronuncerà sull’argomento. Ovviamente una decisione di ammissibilità non vuol dire condanna dell’Italia in materia, come si è visto per esempio sulla vicenda del crocifisso, ma voler schivare il problema rende soltanto più evidente che mettere in discussione una delle legislazioni più feroci d’Europa in materia di fecondazione assistita spaventa i suoi più agguerriti sostenitori. E’ inoltre il caso di aggiungere che la Corte sottolinea che, in conseguenza del divieto di effettuare l’analisi preimpianto, l’unica soluzione possibile è l’aborto, alla quale la coppia ha dovuto ricorrere in occasione della seconda gravidanza?

La Corte europea esamina il primo caso relativo all’accesso all’analisi degli embrioni in Italia per una coppia portatrice di una malattia genetica

La Corte europea dei diritti dell’uomo è stata adita – per la prima volta – di un caso relativo all’accesso all’analisi degli embrioni in Italia per le coppie portatrici di una malattia genetica. L’affare Costa e Pavan contro Italia (richiesta n° 54270/10) riguarda una coppia di Italiani che sono entrambi portatori di una malattia ereditaria, la mucoviscidosi (in nota: detta anche fibrosi cistica, è una malattia genetica corrente che è generalmente fonte di problemi respiratori e può portare alla morte), e dessiderano evitare di trasmetterla ai loro figli.

I ricorrenti, Rosetta Costa e Walter Pavan, entrambi Italiani, sono nati rispettivamente nel 1977 e nel 1975 e abitano a Cinquefondi (Italia). Hanno avuto un figlio, nato il 9 settembre 2006, malato di fibrosi cistica ed è a quel momento que hanno appreso di essere portatori della malattia, con una possibilità su quattro d’avere un figlio malato e una possibilità su due di avere un figlio portatore sano. Essi volevano assicurarsi che il loro secondo figlio non sarebbe stato affetto dalla stessa malattia.

La sola possibilità che era loro offerta in Italia era l’aborto se i test prenatali avessero mostrato que il feto aveva una malattia genetica. La signora Costa a dunque fatto ricorso all’aborto dopo che i testi avevano rilevato nel febbraio 2010 che il suo feto era affetto di fibrosi cistica.

La coppia desidera avere un bambino attraverso la fecondazione in vitro, in modo tale da sottomettere l’embrione a un’analisi preimpianto. Questa misura è possibile in quindici Paesi europei: Belgio, Danimarca, Spagna, Finlanda, Francia, Grecia, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica ceca, Regno Unito, Russia, Slovacchia, Slovenia e svezia. Nonostante ciò, la legislatione applicabile in Italia, la legge n° 40 del 19 febbraio 2004, permette esclusivamente la procreazione medicalmente assistita e l’analisi preimpianto per le coppie sterili o quelle il cui uomo est affetto da una malattia virale transmissibile per via sessuale, come l’AIDS o l’epatite B o C. Queste eccezioni non si applicano ai ricorrenti.

Il 13 ottobre 2010, qualche giorno prima della presentazione della richiesta della coppia davanti alla Corte europea, il Tribunale di Salerno a applicato per la prima volta la legge 40 a una coppia che non rispondeva ai criteri enunciati, coppia nella quale entrambi i membri erano affetti da amiotrofia, malattia che causa un’atrofizzazione progressica dei tessuti muscolari. Si tratta però di un caso che è rimasto isolato.

Invocando l’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (divieto di discriminazioni) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, i iricorrenti si dicono vittime di una discriminazione nei confronti delle coppie sterili o di quelle il cui partner maschile è affetto da una malattia sessualmente trasmissibile.

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