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Link Coordinamento Universitario dà la sua versione della decisione di Frati

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Purtroppo, per chi ha avuto la (s)ventura di frequentare la Facoltà di Giurisprudenza della Sapienza, fondata da Bonifacio VII e la più antica d’Europa, la notizia della costruzione di una tensostruttura – cioè di un tendone – sul pratone della Città universitaria non è che un’ennesima conferma. Non basta vedere in questa decisione un’ulteriore limitazione degli spazi di socializzazione degli studenti, come pure è stato giustamente fatto da Link e dai collettivi presenti nell’Ateneo: tutti sanno che alla Sapienza non c’è una mensa degna di questo nome, non ci sono spazi comuni, non ci sono biblioteche. Ormai, non ci sono più neanche le aule.

Non è un caso che questo triste episodio interessi la Facoltà di Giurisprudenza. Un luogo in cui da tempo si è smesso di produrre una ricerca scientifica di qualità e un insegnamento universitario all’altezza del ruolo che un laureato in Giurisprudenza dovrebbe svolgere in questa società. Più che un luogo, un non-luogo in balia di professori-avvocati milionari, per cui l’insegnamento è un impegno secondario nella loro attività lavorativa.

Il problema degli spazi non è nato, a Giurisprudenza, con i lavori che hanno portato a chiudere le aule più capienti della facoltà – e dell’Università, dato che in tutta la Sapienza nessun’aula supera i 600 posti dell’Aula 1. Il problema degli spazi si è sempre coniugato con l’arroganza e la disorganizzazione.

“Si, mi dispiace, forse starete un po’ strettini, forse vi toccherà stare in piedi o per terra, ma io preferisco l’Aula 3, che è più raccolta: in Aula 1 la voce si disperde, non c’è relazione tra chi parla e chi ascolta”: come dimenticare le lezioni di diritto romano del Professor Di Porto? Indimenticabili, anche perché estremamente rare: il fatto di disporre della sua aula preferita non lo spingeva comunque a una grande assiduità. Se avesse potuto disporre anche dell’orario, forse avrebbe evitato di far coincidere il giorno di lezione con quello delle riunioni al CNR, dove dirigeva il dipartimento Identità culturale.

Come dimenticare gli esoneri di Diritto del lavoro della cattedra del Professor Ghera, fantastico strumento per accumulare bollini come al supermercato prima dell’esame. Esoneri svolti per terra, con il codice sulle ginocchia e il foglio appoggiato su un quaderno. Esoneri di diritto sindacale, il che spiega perché talvolta sia difficile far comprendere le rivendicazioni della FIOM.

Per non parlare delle lezioni che si tenevano nelle aule più piccole, che si riempivano molto tempo prima dell’inizio e costringevano i ritardari a cercare di assistere dal corridoio o a farsi passare gli appunti dai fortunati spettatori della prima fila, alla faccia del diritto allo studio.

Senza aprire il capitolo delle raccomandazioni e delle consorterie, di episodi cosi ognuno di noi potrebbe raccontarne mille. E’ per questo che finire a fare lezioni nelle tende come a L’Aquila, senza neanche aver dovuto subire la tragedia del terremoto, non stupisce più di tanto: basta che il rettore si chiami Frati e che il suo sport preferito sia piazzare parenti di ogni ordine e grado nelle cattedre della sua Università. Ma sarebbe ingeneroso considerarlo come l’unico responsabile di questa situazione: quando una facoltà è abbandonata a se stessa, quando le prepotenze dei professori per decidere gli orari delle lezioni e rimandare l’esame la fanno da padroni, quando il personale amministrativo è incapace di fornire un’informazione precisa e circostanziata, mandare gli studenti a fare lezione in tenda sembra quasi una decisione di buon senso.

Non vederne l’assurdità la dice lunga sullo scadimento della cultura dell regole e dei diritti di coloro che “formano” i magistrati, gli avvocati e una parte della classe dirigente dell’Italia di domani.

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